Malattia da decompressione
Cos'è la malattia da decompressione? Quanti tipi di malattia da decompressione esistono? Come prevenire il problema e affrontarlo quando sopraggiunge?
I sub devono fare particolarmente attenzione
Agli inizi del 1800 i cassonisti, coloro cioè che portavano avanti dei lavori di costruzione o manutenzione di opere subacquee come ponti o altre infrastrutture, accusavano spesso dei fastidi e dei disturbi quando tornavano in superficie, al termine della loro opera. In alcuni casi i disturbi erano abbastanza lievi e si risolvevano con dei dolori articolari, ma a volte si arrivava alla paralisi e addirittura alla morte. Solo alla fine del secolo Paul Beri si rese conto che tali manifestazioni erano provocate dalla formazione di bolle di gas nei tessuti.
Cos’è la malattia da decompressione?
Coloro che per lavoro o per sport respirano aria a pressione più alta di quella ambientale assorbono maggiori quantità di azoto, N2, e di ossigeno, O2, due gas presenti normalmente nell’aria nelle percentuali rispettivamente del 78% e del 21%. Questi gas, a una normale pressione esterna vengono normalmente disciolti nel corpo umano e successivamente utilizzati o eliminati. Se la pressione esterna aumenta, l’ossigeno si diffonde nei tessuti e viene metabolizzato dai vari organi, mentre l’azoto satura gli organi stessi, compreso il sangue. Il livello di saturazione dipende anche dalla pressione esterna quindi nel momento in cui un sub inizia il processo di emersione e la pressione esterna diminuisce, diminuisce anche la quantità di azoto gestibile dal corpo senza danno; se l’emersione avviene troppo rapidamente si creano degli squilibri che portano l’azoto a formare all’interno dei tessuti delle abolle gassose che non riescono ad essere eliminate nel modo consono.
Quanti tipi di malattia da decompressione esistono?
Esistono due tipi di malattia da decompressione, o MDD: il tipo I, meno grave, e il tipo II decisamente più serio. Il tipo I causa dolore in tutto il corpo, ma non presenta alcun pericolo per la vita, si divide nella MDD cutanea, quando le bolle di gas si formano nei capillari della pelle e MDD alle articolazioni, caratterizzato invece da dolore articolare diffuso provocato probabilmente da bolle che interferiscono con il midollo osseo i tendini e i muscoli articolari. Il tipo II si manifesta invece solitamente a carico del sistema nervoso e può portare alla morte in brevissimo tempo; anche in questo caso sono diversi i bersagli della MDD: esiste la malattia da decompressione neurologica, se le bolle agiscono direttamente sul sistema nervoso provocando intorpidimento e formicolio, malattia da decompressione polmonare, se la respirazione è inficiata dalla presenza di bolle ostruttive nei capillari che portano sangue ai polmoni, e malattia da decompressione cerebrale, se una bolla si sposta nei vasi fino a provocare una vera e propria embolia gassosa arteriosa cerebrale.
Vi sono anche altri sintomi caratteristici della malattia da decompressione che vanno tenuti di conto nel caso di sub appena riemersi o di altri soggetti che lavorano in ambienti a pressioni diverse da quella ambientale: vertigini, ronzii alle orecchie, perdita di udito, eruzioni cutanee, disturbi visivi, mal di testa, mal di stomaco o confusione.
Prevenire il problema e affrontarlo quando sopraggiunge
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L’unico modo per evitare la formazione di bollicine gassose è fare in modo che il gas possa defluire dal corpo nella maniera consona, cioè attraverso la respirazione, e questo è possibile procedendo al cambiamento di pressione in maniera graduale. Nel caso dei sub, l’emersione non deve mai avvenire troppo di fretta, ma è anzi necessario che la risalita in superficie avvenga lentamente effettuando anche, quando necessario delle soste di decompressione.
Per evitare di fare errori è possibile seguire i consigli di alcune tabelle ufficiali riportate nel Manuale della U.S. Navy Diving o nel Manuale del National Oceanic and Atmospheric Administration Diving.Queste tabelle indicano le profondità e i tempi di risalita necessari per rimanere in sicurezza e consigliano una pausa di pochi minuti a una profondità di 5 m per abituare il corpo alla diversa pressione esterna. Le tabelle consigliano poi di attendere almeno 12 ore tra due immersioni consecutive o di seguire tabelle particolari nel caso in cui questo non sia possibile.
É inoltre estremamente consigliato di non effettuare viaggi in areo nelle 24 ore successive all’immersione per evitare sbalzi troppo repentini di pressione a cui sottoporre il proprio corpo.
Se nonostante le dovute attenzioni si avvertono dei sintomi particolari è opportuno portare immediatamente la vittima a un Pronto soccorso che tenta di riportare il corpo a una pressione da lui accettata tramite una camera iperbarica. Il personale professionista è poi solitamente in grado di riportare il soggetto alla pressione ambientale nei tempi giusti e quando l’azoto presente nei tessuti può essere facilmente eliminato senza alcun danno.
Salute